Educazione e sessualità: una breve riflessione intenzionalmente provocatoria.

di M

Per chi lavora in ambito educativo, soprattutto con certe fasce d’età come l’adolescenza – ma non solo – il tema della sessualità e delle relazioni è pane quotidiano. Spesso mi sono chiesta, in questi anni di esperienza sul campo, come affrontare questi argomenti in una maniera realmente accogliente ed educativa, come predisporsi all’ascolto attivo e allo scambio significativo. Detto semplificando un pochino: come parlare di sesso e affettività con – e vorrei sottolineare “con” ovvero “insieme, che è diverso da “parlare a” – le adolescenti e gli adolescenti? E come farlo in maniera realmente inclusiva? Come rendere giustizia al sapere portato da chi ho davanti? Come sviluppare discorsi sull’importanza della prevenzione e della salute senza terrorizzare e senza tarpare le ali a una possibile sana promiscuità? E come fare tutte queste cose – e molte altre – all’interno di istituzioni e dispositivi (parliamo di scuole, ma anche comunità, centri diurni e via dicendo) che spesso e volentieri ancora tremano al solo sentire la parola “SESSO”?

Tante domande, forse troppe. Ma porsi domande e riflettere, oltre a essere uno degli strumenti più importanti della nostra “cassetta degli attrezzi”, è anche un ottimo modo per poter iniziare un discorso più ampio e approfondito, che possa stimolare nuove pratiche educative e ulteriori nuove riflessioni, in quello che potremmo chiamare un “essere in costante ricerca”.

Un approccio che trovo diffuso è la tendenza a legittimare certe forme di sessualità e relazione rispetto che altre. Mi spiego meglio. Anche laddove non vi siano pregiudizi espliciti nel luogo di lavoro verso orientamenti sessuali e forme relazionali altre rispetto alla coppia monogama ed eterosessuale, aleggia sempre una sorta di “non detto” che porta a prediligere narrazioni di esperienze di quel tipo. Talvolta ho la sensazione – e delle volte, ahimè, non è solo una sensazione ma una vera e propria richiesta calata dall’alto – che raccontarsi in maniera limpida, se non si rientra in un certo schema di “normalità”, sia una cosa sbagliata, da fare di nascosto e sottovoce. Così facendo è come se comunicassimo che va bene non essere etero, va bene essere promiscue, va bene avere più partner, però è meglio non dirlo troppo in giro, soprattutto e ancora di più in quanto educatrice – quindi una creatura casta, docile e dolce, senza perversioni, una sorta di madre-madonna.

Il discorso dominante resta quindi quello del rapporto tra cosiddetti generi opposti”, del sesso valido se romantico, della gelosia come valore aggiunto, del sesso “pulito e profumato, meccanico. Certo, si sono fatti passi da gigante rispetto anche solo a dieci anni fa, ma penso che siamo ancora tanto lontani dal raggiungimento dell’obiettivo minimo.

Mi chiedo spesso quali possano essere le conseguenze di un modello educativo ancora influenzato dalla concezione per cui chi fa sesso occasionale con diverse persone è una “tr0ia”. Che volta le spalle alla ragazza e/o al ragazzo che domandano se è normale provare piacere nell’attuare pratiche che potremmo includere nella categoria del BDSMtutto tratto da una storia vera.

Se noi voltiamo la faccia con malcelato imbarazzo alla promiscuità, le adolescenti e gli adolescenti non smetteranno di avere, o di desiderare di avere, tante e/o tanti partner, avranno però meno possibilità di sentirsi a loro agio nel farlo e nel parlarne; oppure svilupperanno circuiti legati al senso di colpa e al malessere. Piuttosto parliamo loro del consenso, del rispetto verso le persone con cui si intrattengono rapporti occasionali affinché non diventino meri corpi da consumare.

Se additiamo le pratiche sessuali “kinky” e ci rifiutiamo di parlarne con loro o di informarci insieme sui modi in cui farlo in maniera sicura e responsabile, non stiamo facendo loro del bene e, a mio parere, non stiamo operando in maniera educativa. Solo superando la vergogna e il timore di parlare delle perversioni, queste possono essere trattate come quello che sono: preferenze sessuali, forme di curiosità e di scoperta del proprio corpo e delle sensazioni a esso legate.

Se dobbiamo nascondere il fatto che è possibile e legittimo avere relazioni amorose non esclusive o poliamorose, allo stesso modo in cui è legittimo avere relazioni amorose esclusive, stiamo collaborando con la società nell’instillare in loro la “norma”, stiamo oscurando loro un ventaglio di possibilità che esistono e in cui potenzialmente possono trovare una dimensione che le faccia sentire meno inadeguate.

Questi sono solo alcuni esempi tratti dalla mia personale esperienza, ma la lista sarebbe molto, molto e ancora molto più lunga di così.

Io sono convinta che siano necessari dei discorsi seri, complessi e profondi sul tema della sessualità nei contesti di lavoro socio-educativo. E sono convinta che solo sviluppando riflessioni condivise e con un approccio e una postura aperti, inclusivi e volti alla responsabilità si possa arrivare a creare in un futuro spazi lavorativi in cui sia operatrici e operatori che “utenti” possano sentirsi meno giudicate e – forse, ma è solo una speranza – meno sessualizzate, anche se più esplicite e libere nella comunicazione e nell’affermazione di sé.