A tutte le educatrici militanti

Quando Social Frogs ha annunciato l’addio al lavoro sociale, ero in autobus e mi stavo spostando da una casa all’altra, nel mezzo del lavoro educativo domiciliare che dovrebbe contrastare l’istituzionalizzazione – evitando l’inserimento in strutture comunitarie di bambinə e ragazzə – e invece opprime noi, con ritmi insostenibili, e le persone di cui ci occupiamo, se diventiamo semplici, e complici, controllor* inviate dall’alto. Ho letto il post di Social Frog, e dietro ai miei occhiali da sole ho iniziato a piangere. E’ necessario che la nostra fatica venga condivisa, perché siamo tant e non dobbiamo più sentirci sole. Come in una staffetta, spero di poter proseguire per un pezzettino quello che qualcun’altra ha iniziato.

Siamo operaie frammentate: il lavoro sociale ed educativo è faticoso, marginale, sottopagato, appaltato, esternalizzato, rimbalzato alle agenzie interinali e svilito dalle cooperative sociali. Il lavoro sociale ed educativo è necessario, ma siamo davanti a una scelta. Possiamo proseguire la missione neoliberista, e contribuire a tenere in gabbia chi disturba: famiglie povere, genitori fragili, bambin* “difficili”, persone migranti, persone con disabilità, con neurodivergenze o che affrontano la propria salute mentale, anzianə solə, accomunate tutt3 dal non essere utili ad alcun profitto ma anzi dal comportare un costo per la società. Oppure possiamo condividere e ribellarci. Ogni giorno ci avviciniamo a chi abita i margini, incontriamo chi si imbriglia nella rete dell’assistenza cercando supporto e trovando giudizio e controllo. La rete, teoricamente concetto fondamentale per il supporto alle persone in situazioni di vulnerabilità, diventa una finta in cui i diversi servizi sociali, educativi, sanitari e assistenziali non comunicano tra loro, non considerano le persone nella loro complessità né tutte le cause strutturali dell’emarginazione sociale, ma erogano prestazioni e ci mandano in prima in linea, e disarmate, ringraziandoci per una supposta “vocazione”. In questa rete, le educatrici e gli educatori, le operatrici sociali, le animatrici – e qualunque altra denominazione incaselli il nostro lavoro a sostegno delle persone rese fragili da una società ingiusta – sono le ultime della fila e allo stesso tempo in prima linea. Ai margini, perché operano con paghe da fame e un’organizzazione inaccettabile, e le prime, perché costruiscono relazioni quotidiane in una società che accusa chi resta indietro di scarsa capacità e di scarsa “resilienza”, negando i problemi strutturali che portano “gli utenti” a essere e rimanere “utenti”.
La nostra fatica va condivisa, per evitare che la frustrazione diventi un problema individuale da affrontare in supervisione, etichettandoci come educatrici incapaci di reggere allo stress che il nostro lavoro, alle condizioni attuali, inevitabilmente comporta. A tutt3 noi, ora che inizia un nuovo anno di sfruttamento – settembre più che gennaio ci obbliga a fare i conti con le scadenze e le apparenze, siano progetti, mail da inviare, o iscrizioni in palestra – a tutt3 noi: non siamo solə, e questa rabbia è vitale.
Attorno a noi si diffondono proposte di pedagogiste che offrono percorsi di consueling per trovare la propria strada “imprenditoriale” come professionist* del welfare, per capire come uscire dalla miseria e dalla fatica del lavoro educativo, per analizzare il gap tra ciò che ci aspettavamo e ciò che abbiamo trovato e mostrarci nuove vie di sopravvivenza. Questi percorsi non sono gratuiti, e pur capendo la buona fede di chi li propone dobbiamo dirci quanto siano contraddittori. La nostra fatica esiste, tanto che il mercato ci intercetta e propone percorsi per la cura di chi si prende cura. Non può bastare. Come per le difficoltà delle persone che incontriamo, i nostri problemi sono politici e collettivi e prima di chiederci dove abbiamo sbagliato (la laurea? il master? la cooperativa? il settore di lavoro? quel trauma irrisolto?) dovremmo assicurarci che le condizioni in cui veniamo messɜ siano eque e dignitose. Non lo sono, e alla rete dei servizi, che ci blocca e svilisce, possiamo opporre nuovi reti collettive.
Grazie a Social Frogs per aver iniziato la tessitura.
Educatrice militante